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Giornata della Memoria: banalità o necessità?

  • Immagine del redattore: Alessandro Pizzo
    Alessandro Pizzo
  • 27 gen 2015
  • Tempo di lettura: 2 min

Cadere in banali ipocrisie in una giornata come questa è fin troppo facile.




Esattamente 70 anni fa venivano aperte le porte del campo di concentramento di Auschwitz. Solo 70 anni. Fino a "ieri", venivano deportati ebrei zingari omosessuali neri slavi handicappati e oppressori politici. La loro colpa era semplicemente esistere. Un anno fa quei campi io li ho visitati. Auschwitz, quello dell'irrisoria frase «Il lavoro rende liberi», e Birkenau, quello della celebre foto delle rotaie che conducevano all'ingresso del campo più grande di tutti. E, giuro, quei luoghi sono ancora vivi.

E sì, tutti nella vita credo che abbiamo sorriso ad una battuta sugli ebrei, così come lo abbiam fatto alle battutine sulle persone di colore, o sui Napoletani o i Palermitani o i Polentoni di turno. L'umorismo è sano, e anche gli stessi ebrei testimoniano che spesso è stata fondamentale l'autoironia anche là dentro (saranno 24 ore piene di moralismi, ma fino a 20 giorni eravamo tutti Charlie eh). Pirandello lo definiva "sentimento del contrario", io nella mia ignoranza di 19enne qualsiasi lo ritengo un semplice e sano modo per tenere in allerta le nostre coscienze. È esattamente questo lo scopo del 27 Gennaio di ogni anno.

Lo ripeterò fino allo svenimento. Questa, come tutte le altre giornate istituite a tener viva la Memoria di fatti storici, non servono banalmente a ricordare e poi a sfoderare citazioni di Primo Levi, Anna Frank o Hannah Arendt. Questa giornata ci rende protagonisti nell'attualità.

Che sia su Facebook, per la strada o in cabina elettorale, noi, il presente, dobbiamo fare in modo che queste forze politiche, questi istinti ben poco umani, non prendano mai più il sopravvento. Mai più.

 
 
 

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